Antonio Zanella
(di Bruno Avesani)
Per dare l'idea dei meriti e del prestigio
acquisiti da Antonio Zanella nella sua attività di ingegnere
basta ricordare che l'Accademia di Agricoltura, Scienze,
Lettere ed Arti di Verona, pochi giorni dopo la sua morte,
deliberò di "erigere una lapide con medaglione a basso
rilievo" con la seguente epigrafe: " Matematico e idraulico preclaro n. il /28
settembre 1806/che all'opera di redenzione delle valli/grandi
veronesi ed ostigliesi da lui per/fezionata e diretta
splendidamente il pro/prio nome congiunse.
L'accademia di agricoltura di Verona/che
l'ebbe fra' suoi questa memo/ria votò nel 21 marzo
1885.
Nato a Soave il 28 settembre 1806 da
Giovanni e Angela Prosdocimi, dopo essersi brillantemente
laureato in Ingegneria presso l'Università di Padova, esercitò
la professione a partire dal 1830. Da tale anno fino alla sua
morte ricoprí un ruolo di primo piano in Italia come studioso
teorico e come realizzatore di rilevanti opere architettoniche
e ingegneristiche, poiché uní al lavoro concreto anche una
considerevole mole di pubblicazioni.
Nei primi anni progettò il ponte di Lonigo
in cui, utilizzando nella massicciata lamiere ondulate,
anticipò il sistema degli zorés e pubblicò sul "Poligrafo" stimolanti
"Osservazioni intorno alle strade scorrenti fra
l'abitato".
Rimase sempre molto legato al suo paese
d'origine per il quale negli anni 1836-1838 seguí il restauro
della chiesa di Santa Maria della Bassanella (purtroppo
stravolgendo l'assetto preesistente) e in anni successivi
progettò il Palazzo Municipale, le Carceri giudiziarie (per le
quali si veda il documento a p.
346
in questo volume) e
la
Caserma dei carabinieri. Esperto conoscitore di
pittura e scultura, fu incaricato dal principe Giovannelli di
progettare i lavori di restauro della chiesa di San Fermo a
Lonigo. Fu l'ideatore del palazzo Frigotto, poi Creazzo,
sempre a Lonigo.
Ma la sua fama è legata soprattutto
all'ingegneria idraulica. Nel 1850 elaborò il "Piano di
classificazione del Consorzio XIV Chiampo a sinistra, e XIII
Guà a destra" a cui seguí nel 1857 l'altro piano per il "Guà a
destra". Nel 1860 dall'Accademia di Verona ottenne la medaglia
d'oro per una memoria relativa al "modo di quantificare i
rapporti di pericolo in un Consorzio di difesa". Sulla base
delle conoscenze acquisite in questi primi anni di attività
sul modo oggettivo di condurre le classificazioni presentò la
"Classificazione del Consorzio Liona, Frassenella e
confluenti" ed espresse un suo dotto parere sul programma per
il Consorzio "Sezione centrale del Foresto".
Ma certamente l'opera in cui dimostrò la
sua grandissima preparazione tecnica e alla quale è legato il
suo nome fu la realizzazione della bonifica delle Valli Grandi
Veronesi, una delle piú grandi bonifiche d'Italia, che egli
diresse per oltre vent'anni a partire dal 1862. Questa vasta
zona, denominata "Valli Grandi Veronesi ed Ostigliesi"
cominciò a impaludarsi nel VI° secolo dopo la rotta dell'Adige
all'altezza della Cucca (oggi Veronella) per trasformarsi
definitivamente in un indissolubile intrico di acquitrini da
quando Giovanni Acuto, condottiero di ventura al servizio dei
Carraresi, nel 1387 per motivi bellici ordinò di tagliare la
riva destra dell'Adige all'altezza di Castagnaro, inondando
cosí le valli poste a meridione. "Con questo allagamento prese
vita un nuovo canale, che da tale paese derivò il nome, il
quale a Canda si congiunse con il Tartaro; la rotta d'Adige
del 1438 rese stabile questo corso d'acqua che sulle carte
topografiche sino alla metà dell'Ottocento sarà indicato come
canale o diversivo di Castagnaro".
Già la
Repubblica di Venezia aveva progettato di asciugare
le Valli e aveva affidato l'incarico a valenti idraulici di
studiare il piano per la bonifica. Ma i loro tentativi
fallirono perché rimasero vincolati all'idea di tenere aperto
il diversivo di Castagnaro. La bonifica di fatto ebbe inizio
solo quando l'illustre idraulico Pietro Paleocapa dimostrò che
si poteva iniziare l'opera di redenzione di quelle terre se le
acque, invece di divergere per il Castagnaro, fossero state
costrette a scorrere nell'alveo dell'Adige. Il Governo
austriaco accolse favorevolmente tale idea, già intuita da
Scipione Maffei nel lontano 1719, e affidò al Paleocapa la
chiusura del canale Castagnaro che venne realizzata nel 1838.
Il Governo austriaco mise a punto anche un vasto progetto di
bonifica dell'intera zona: nel 1854 Radetzky firmò il
Regolamento per cui si dettarono le norme per l'esecuzione dei
lavori, alla direzione dei quali venne chiamato l'ingegnere
Antonio Toniolo. Dopo che questi, nel 1861, andò ad assumere
le mansioni di ingegnere-capo governativo, le opere di
bonifica vennero dirette da Antonio Zanella.
Tali lavori consistettero nella
sistemazione del Canal Bianco, da Canda al sostegno Bosaro,
lungo 26
chilometri; nell'escavazione e sistemazione del
fiume Tartaro da Canda fino al Bastion San Michele, lungo
chilometri 30,56; nell'escavazione nel seno della Valle di
un'ampia fossa, detta Maestra, da Canda al Tregnon, lunga
oltre 27
chilometri, oltrepassando il Bussé; nell'arginare la
sinistra del Tartaro da Zelo al Bastion San Michele.
I lavori eseguiti, per una spesa
complessiva di Lire 6.604.640, furono coronati da successo.
Anche se durante le operazioni militari nella terza guerra di
indipendenza andarono distrutti alcuni manufatti e la
terribile inondazione del 1868 minacciò di rovinare le opere
in corso, fu bonificato in modo stabile e sicuro un bacino di
66.000 ettari: quando, nel settembre del 1882, le acque
dell'Adige salite in piena fino a raggiungere livelli mai
visti precedentemente si versarono pressoché tutte per la
rotta di Legnago e si diressero in una massa immane contro i
tre grandi manufatti che formano la chiave della bonifica,
neppure una pietra fu staccata o rimossa.
Lo Zanella concluse i lavori nel 1877 e
rimase fino al 1881
a capo del Consorzio che doveva provvedere
alla manutenzione di quell'opera che ricevette unanimi
consensi, tanto che sul parapetto dei tre ponti costruiti
vennero apposte queste tre epigrafi: Efficace volere dell'imperiale governo/cure
del paese indefesse/potenza di credito/vaste paludi mutarono
in ubertose campagne.
Qui rovinose un giorno/oggi tranquille
correnti/isterilirono, ammorbarono allora/sanano arrichiscono
adesso/vasto paese contermine.
Questi luoghi natura/da secoli
impaludò/arte/in pochi anni redense.
A suo grande merito va inoltre ricordata
la classificazione dei terreni bonificati fatta con oggettiva
imparzialità e comprovata conoscenza tecnica sì da essere
lodata non solo dal Ministero, ma anche dagli stessi
contribuenti.
Negli ultimi anni della vita portò ancora
il suo contributo per proporre soluzioni a problemi idraulici.
Nel dicembre del 1881 e nel gennaio dell'anno seguente legge
una memoria sulla "condotta e distribuzione delle acque del Rì
di Avesa all'interno della città di Verona" in cui, dopo aver
descritto i tre tronchi del canale dalla fonte di Avesa fino
alla Piazza delle Erbe, prende in esame gli Statuti comunali
del 1228 ed esamina l'atto del 7 marzo 1338 con cui il Comune
di Verona concedeva "al marchese Malaspina quel diritto che
avea sulle acque, sull'alveo e sulle ripe del rivo di Avesa
dalla fonte alla città". Poiché i Malaspina dovevano
assicurare "once sette di acqua pei bisogni della città"
corrispondenti, secondo i suoi calcoli, a
26
litri di acqua al secondo, spiega il "modo di
costruire un manufatto che divida le acque del Rì fra la città
e i rappresentanti la famiglia Malaspina" propone le opere che
devono essere eseguite lungo il Rì all'esterno della città e
spiega come dovrebbero essere sistemate le acque nell'interno
della città (Della condotta e distribuzione delle acque
del Rì di Avesa nell'interno della città di
Verona,Verona, Franchini, 1883).
Su altri due temi importanti intervenne da
protagonista: il canale industriale e la sistemazione
dell'Adige a Verona.
Allorché la
Camera di Commercio della città scaligera si
fece promotrice della costruzione di un canale in grado di
produrre oltre 200 cavalli di forza motrice, lo Zanella fu il
primo nel 1870
a presentare un documentato progetto. E
quando con Giulio Camuzzoni, sindaco di Verona, l'iniziativa
passò al Comune e risultò favorito il progetto elaborato
dall'ingegnere Carli che prevedeva la produzione di oltre 3000
cavalli di forza motrice, guidò l'opposizione alle nuove
scelte politiche, industriali e tecniche cercando di
dimostrare che "l'elevato costo del canale, sommato ai danni
sicuri ad attività economiche già consolidate e non
controbilanciate dalla certezza di un suo sfruttamento, non
poteva certo qualificare l'opera come di pubblica
utilità".
L'altro suo interesse prevalente fu
rivolto al fiume Adige. Intervenne sul giornale "L'Arena" a
piú riprese nel 1883 per proporre soluzioni sulla sistemazione
del fiume per salvare la città dalle conseguenze terribili
delle piene. Riprendendo quanto già ideato dal Lorgna si fece
promotore del progetto di salvare Verona non come pensava
la Commissione
Idraulica di allora con l'allargamento fino a
103
metri della sezione del fiume nel tronco che va
dalla chiesa del Redentore sino al Ponte Navi, ma abbreviando
il corso dell'Adige a valle del Ponte della Ferrovia, "facendo
un rettilineo da Tomba a San Giovanni Lupatoto in sostituzione
dell'attuale corso tortuosissimo" ("L'Arena", 19 luglio 1883).
Ancora una volta a sostegno delle sue idee portò solide
argomentazioni teoriche e precise osservazioni maturate nel
corso di una vita di studi e di lavoro.
Tre mesi prima della morte che avverrà il
23 gennaio 1885, come ricorda il suo amico, l'ingegnere
Giobatta Donati, volle visitare e rivedere i luoghi delle
Valli Grandi Veronesi "e là in mezzo ai manufatti, eloquenti
testimoni del suo ingegno e della sua operosità, ricordare
tutte le ansie patite, lieto però di vederle coronate da sì
splendido successo, e felice di ricalcare quelle terre, ora
ubertose campagne, dov'egli ancora nel fior dell'età aveva
militato, combattuto e vinto fra sterili lande".
Giuseppe Maggio
Un uomo che onorò Verona con il suo
ministero sacerdotale, ma soprattutto con la sua attività
nell'ambito del rinnovamento della musica sacra, che fu noto
in città e parimenti in tutta Italia massimamente tra coloro
che si occuparono ed ebbero a cuore la situazione della musica
e del canto - anche non strettamente religioso - fu Giuseppe
Maggio: sconosciuto ancora oggi ai piú e su cui non si sono
appuntate le attenzioni degli studiosi se non marginalmente.
Solo una tesi di laurea, comunque rimasta inedita, ne ha
tracciato un ampio segno sulla vita e sull'opera.
Nato a Villanova di San Bonifacio il 18
dicembre 1866 da Gio Batta e da Regina Grigolin, secondogenito
tra una sorella ed un fratello piú giovane, il Maggio si
trasferí a Soave subito dopo la nascita. Qui frequentò le
scuole elementari per passare poi alle cure di un sacerdote,
Celestino Molinaroli, che lo istruí sino alla quarta ginnasio
per affidarlo, quindi, al seminario dove il giovane proseguí
gli studi divenendo sacerdote nel 1889. Il brillante percorso
curricolare come appare dai registri lasciava bene
intravvedere le doti che il figlio del falegname Gio Batta
possedeva e che nei primi anni, a causa delle indigenti
condizioni familiari, aveva dovuto ricorrere alle buone
prestazioni del Molinaroli. Agli studi prescritti, il Maggio
aveva abbinato anche quelli musicali e proprio in seminario
era stato allievo di due celebrati maestri: Antonio Bonuzzi
per il canto gregoriano e Achille Saglia per armonia,
contrappunto e composizione. Era questa l'altra vocazione,
alla quale Giuseppe Maggio dedicherà tutto il tempo della sua
vita lasciato libero dalle cure pastorali: un ministero che
cominciò ad esercitare proprio all'indomani dell'ordinazione
sacerdotale presso la parrocchia del suo paese. A Soave rimase
per undici anni, sino al 1900, quando fu chiamato
all'importante incarico di Maestro di Cappella della
cattedrale di Verona. Nel 1889 don Antonio Bonuzzi aveva
voluto tenere a Soave il primo convegno dell'Associaziane
Italiana Studi Ceciliani già entrata in crisi nonostante fosse
stata fondata appena nove anni prima; si inaugurava, nella
basilica di San Lorenzo in Soave il nuovo organo - un evento
importantissimo per la novità dello strumento elettrico che
veniva a sostituire quello tradizionale - e il giovane vicario
cooperatore ne era stato assai coinvolto: Maggio diverrà
infatti uno dei piú fervidi assertori e sostenitori
dell'Associazione ricoprendo, all'interno della stessa, le
massime cariche.
Erano gli anni del grande fermento
musicale; vi era, nella Chiesa, una necessità di rinnovamento;
durante le funzioni religiose, si concedevano ampi spazi
all'operismo e al teatralismo stravolgendo in questo modo il
senso profondo della liturgia; in chiesa si cantava, ma si
cantava male non adeguando l'accompagnamento musicale alla
sacertà dei riti e persino l'organo, strumento principe che
aveva da sempre accompagnato le funzioni religiose era stato
relegato in sudditanza. Profondamente consapevole della
richiesta che si stava levando, Giuseppe Maggio andò
indirizzando i suoi sforzi verso la nuova sensibilità musicale
in ciò prevenendo quanto sarebbe accaduto pochi lustri dopo;
Verona fu tra le prime diocesi a scrollarsi di dosso il
retaggio del passato e l'attivismo del Bonuzzi cui davano
forti assensi il Saglia e Carlo Baciga, in primis, ma anche altri sacerdoti, agí
profondamente sul giovane prete. Frenavano, invece, sulla via
del rinnovamento il vescovo Luigi di Canossa e Mons. Sante
Aldrighetti direttore del coro della Cattedrale, nonostante i
livelli altissimi raggiunti proprio da quest'ultimo.
A Soave il Maggio ricostituí la "Schola
cantorum" che il Perazzini aveva fondato, si dedicò
all'insegnamento del canto gregoriano che stava guadagnando
ampi consensi e sempre maggiore gradimento nella diocesi; si
diede a comporre opere musicali chiesastiche. Non sono molte
le notizie sull'attività pastorale soavese del giovane vicario
cooperatore le cui scarne memorie sono affidate soprattutto ad
un suo discorso, di qualche anno successivo, nel quale
rifaceva anche la cronistoria dei suoi "successi" musicali
nella cittadina. Qui alternava gli impegni propri della cura
d'anime con quello di maestro elementare, professione che
esercitò costantemente durante la sua presenza nella
parrocchia e che gli permise di mantenere la madre e i
fratelli da quando, scomparso il padre, era divenuto il
capofamiglia.
Il gregoriano cominciava ad entrare con
sempre maggiore frequenza nelle funzioni religiose e ad essere
amato; "lo si canta abitualmente a Soave per merito di G.
Maggio; nel 1895 per la prima messa di don Fiorante Magrinelli
la Schola esegue tutto e solo gregoriano". Ma già
l'anno precedente il sacerdote si era adoperato per tenere a
Soave l'adunanza della Società Diocesana di S. Gregorio
fondata nel 1892 da don Bonuzzi: qui, nel suo discorso
Il canto del Vespro, poi pubblicato in occasione della prima
messa di un soavese nel 1895, Maggio dettava già alcuni
principi fondamentali sul senso della musica sacra che si
rifaceva alle idee e ai desideri dei Padri della Chiesa.
Sempre durante il periodo soavese, egli dava alle stampe un
manuale di raccolta dei salmi occorrenti nelle domeniche e
nelle altre feste, componeva musiche sacre, portava la sua
"Schola cantorum" nelle parrocchie della provincia facendo
eseguire opere proprie o di altri. Cosí l'attività musicale
del giovane compositore diventava sempre piú di dominio
pubblico sinché la morte dell'Aldrighetti gli spianava la
strada per la nomina a Maestro di Cappella avvenuta
all'unanimità il 12 dicembre 1899.
La riforma incalzava e Verona era
pronta.
Il primo solenne esordio del nuovo
direttore avvenne nella settimana santa e nella Pasqua del
1900; il programma era austero: gregoriano, polifonia
rinascimentale e autori ceciliani recenti. Niente orchestra:
solo l'organo per accompagnamento. Le voci argentine dei
ragazzi, educate con perizia e pazienza dal Maggio, furono una
grande novità; la stampa cittadina e il pubblico accolsero con
simpatia l'evento.
La morte di Leone XIII portò al soglio
pontificio il cardinale Giuseppe Sarto già noto agli ambienti
ceciliani; proprio Pio X, nel suo primo atto del novembre 1903
emana, motu proprio, l'istruzione Tra le sollecitudini, il nuovo codice giuridico della musica
sacra: è la suprema sanzione del Magistero alle idee del
movimento ceciliano. Per don Maggio si spalanca un fecondo
campo di lavoro: fino alla morte sarà direttore di coro,
organizzatore, compositore, apostolo della riforma ceciliana
in Verona e nel Veneto. Secondo il maggiore conoscitore della
musica sacra scaligera - oltreché famoso e apprezzato
compositore moderno - "con la nomina a maestro di Cappella di
don Maggio, proveniente da Soave, ebbe inizio una nuova
epoca". Pure Don Baciga, buon musicista che concorse
moltissimo alla causa del rinnovamento musicale anche con la
sua verve polemica che gli alienò non poche
persone, salutò con grande simpatia l'irruzione del giovane
prete.
Da questo momento innumerevoli sono i
momenti importanti nei quali il Maggio dà prove significative
della sua bravura; rinnova profondamente il repertorio del
coro della Cappella del duomo, introduce scelte armoniche e
tecniche di canto nuove ed ardite, elimina definitivamente
l'orchestra dalle chiese, restituisce l'organo ai fasti del
passato. Nominato segretario della Commissione vescovile per
la musica sacra nel 1904 ribadisce alcuni principi ed emana
ordini affinché si utilizzino in chiesa dei canti già
predisposti, affinché sia il gregoriano alternato al
falsobordone ad accompagnare l'officiatura dei vesperi, perché
siano bandite dalle cantorie le voci femminili. Nel medesimo
anno fonda la Società
Veronese S. Gregorio, una delle prime società per
la musica sacra. Si adopera a pubblicare libretti da
distribuire alle parrocchie, compone ed esegue autori che
spaziano dal 1500 sino a Lorenzo Perosi. Non manca occasione
nella quale il Maggio non sia presente e riscuotendo sempre
lusinghieri appalusi. Diventa uno dei pilastri
dell'Associazione ceciliana grazie alle sue doti
organizzative: presidente regionale, consigliere nazionale
(1909) e vice-presidente nazionale (1920); tiene relazioni a
convegni, compone melodie per le bande musicali e incoraggia i
concerti di campane, promuove la nascita di "Scholae
cantorum", ottiene riconoscimenti e consensi, fa conoscere al
pubblico le composizioni del Perosi che esegue con costanza e
soprattutto nelle grandi occasioni. Nello stesso tempo insegna
in Seminario, presso istituti religiosi e nella scuola
diocesana di musica sacra, è commissario in vari concorsi,
segretario della Società gregoriana. Le sue pubblicazioni
vengono segnalate affinché le parrocchie le diffondano tra i
fedeli.
Nel 1915 lascia la direzione della
cappella del duomo a don Giuseppe Turrini, suo fedele
discepolo, perché chiamato alla carica di canonico
penitenziere; poi, via via, diviene assistente diocesano della
gioventú femminile, economo della cattedrale, fondatore della
casa del clero. Si cimenta anche in prestazioni
extra-liturgiche dimostrando una profonda sensibilità
artistica anche al di fuori dell'ambiente musicale
ecclesiastico.
Nel 1913, ricorrendo la commemorazione di
Costantino, tiene un concerto dell'Accademia musicale in
seminario.
Nel sesto centenario della morte di Dante
ne celebra un altro - il 28 maggio 1921 per gli Amici della
musica e il giorno successivo per il pubblico - dal titolo
Trilogia divina: una scelta dai 50 salmi di Benedetto
Marcello che egli concerta e dirige con successo tale da
ripetersi nella cattedrale poco tempo dopo. La sua
rivisitazione dell'opera marcelliana viene richiesta da
Cambridge, Vienna, Padova, Milano e da altre città italiane.
Nel settimo centenario di S. Francesco
d'Assisi, Mons. Maggio pensa di ripetere la medesima
operazione di cinque anni prima; presenta
la Trinodia serafica scegliendo sempre dai salmi di Benedetto
Marcello e ottiene uno straordinario successo tanto che la
manifestazione viene richiesta ed eseguita in piú
occasioni.
Nel 1928, per onorare il servo di Dio
Nicola Mazza dirige un concerto con il coro femminile del
medesimo collegio.
Poco prima della morte esegue 10 tra i 27
responsori di Marco Antonio Ingegneri con una lezione ed un
discorso sul compositore veronese e sulle scelte da lui
operate (13 aprile 1930).
Programma le manifestazioni musicali per
le feste centenarie di S. Agostino (27 aprile-4 maggio
1930).
È questa l'ultima fatica di Mons. Giuseppe
Maggio, che scompare il 6 luglio 1930 sconfitto da un male che
da qualche anno lo andava perseguitando. La perdita è sentita
in tutti gli ambienti ecclesiastici e adeguatamente segnalata
dal suo allievo Turrini che ne traccia un affettuoso e preciso
profilo.
Tre furono i settori cui il sacerdote si
dedicò con particolare attenzione e che vanno ricordati:
direzione del coro, organizzazione, composizione.
Nella prima, forse, brillò maggiormente il
Maggio. Le sue esecuzioni furono sempre accuratissime,
filologicamente attente, improntate ad un pragmatismo aderente
il piú possibile alle vocalità espressive. Sembra dimostrata
questa dote soprattutto dai successi extra-liturgici anche se
i trent'anni di lavoro all'interno delle chiese e delle
organizzazioni sono sufficienti a comprendere il ruolo che il
Maggio ebbe nella ricostituzione del canto sacro.
Egli fu un abile organizzatore; dotato di
zelo indefesso e di pragmatismo, organizzò seminari, convegni,
raduni, concorsi, istituí associazioni e cori, fu prodigo di
consigli e di suggerimenti, fu un comunicatore di
entusiasmi.
La produzione musicale di Giuseppe Maggio
è considerevole: messe, mottetti, falsibordoni, cori
accademici, vari componimenti alcuni dei quali ancora inediti;
ma discorde appare, tra i critici, la vera capacità artistica
del sacerdote. Se nessuno gli disconosce il ruolo fondamentale
svolto nell'ambito del rinnovamento musicale sacro non
soltanto all'interno della diocesi veronese nel secolo testé
trascorso, ai critici non appare altrettanto chiara e concorde
la sua bravura compositiva. È necessario, tuttavia, ripensare
un momento all'epoca in cui il Maggio è vissuto: periodo
caratterizzato da scarsi geni consacrati alla musica sacra (se
si eccettua Lorenzo Perosi) e per di piú controverso. C'era
inoltre da tenere presente in quel tempo, e probabilmente
esiste ancora oggi tale remora, la necessità che il
"musicista-apostolo" della chiesa diventasse umile servitore
di una generalizzata ignoranza di coloro ai quali questa
musica era indirizzata: capacità e modo d'espressione non
facili né alla portata di tutti i musicisti anche se
dotati.
In questo quadro, in realtà poco
entusiasmante, si viene a collocare Giuseppe Maggio, che la
maggiore studiosa del Nostro qualifica come un solerte operaio
della vigna del Signore, onesto compositore senza lampi
particolari di creatività.
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