Gaetano Cortesi (o Cortese)
Succeduto al defunto Bartolomeo Perazzini,
Gaetano Cortesi (Cortese) resse le sorti della parrocchia di
Soave per 22 anni, una lunga militanza ministeriale che gli
permise di conoscere, amare e curare con grande passione le
anime a lui affidate.
Nato a Verona nel 1762, dotato di
straordinarie capacità di apprendimento, abbracciò da piccolo
la vita ecclesiastica studiando nel Collegio degli Accoliti e
divenendo sacerdote all'età di soli 22 anni e, quindi, assai
prima dei tempi previsti. Molto legato ai Padri dell'Oratorio
ebbe in un religioso di quella istituzione, Francesco
Bertolini, un padre spirituale molto attento e ferreo che
sconsigliò il giovane Cortesi di dedicarsi al canto nonostante
la splendida voce baritonale di cui era dotato. Ma anche se fu
distolto da una probabile professione non certo conciliabile
con il ministero pastorale, in lui rimase la grande passione
per la musica e per il canto in particolare.
Ancora giovanissimo, era il 30 agosto
1786, fu nominato professore alla cattedra di retorica degli
Accoliti succedendo ad un celebre maestro quale Pellegrino
Lombardi il quale tenne per sé il titolo onorifico di Prefetto
agli studi. Particolarmente versato negli studi letterari e
filosofici, si dice che a ventidue anni - quale prodromo per
l'ordinazione sacerdotale - abbia sostenuto nella cattedrale
di Verona una pubblica disputa su varie proposizioni di
metafisica alla presenza del Vescovo e di un dotto uditorio di
canonici e di professori.
Il giovane insegnante di belle lettere si
distinse per la brillantezza del suo ingegno e per la
straordinaria organizzazione degli studi cui furono soggetti i
suoi allievi. Nel 1789 tenne l'orazione funebre per le esequie
del vescovo Giovanni Morosini: la preparò in tre giorni
destando, per la celerità e per la perizia, particolare
ammirazione e stupore anche nel Cesari. L'anno successivo si
ripeteva per l'ingresso dell'Avogadro, chiamato a ricoprire la
carica di vescovo della diocesi veronese.
Nel 1792 lasciò l'incarico presso gli
Accoliti, giudicato forse troppo angusto per il valore
dell'uomo, e fu chiamato alla cattedra di retorica e di
eloquenza in seminario. Erano anni particolarmente
significativi per la cultura di fine secolo e si apprestavano
a diventare pesanti e difficili per quanto sarebbe accaduto
negli anni immediatamente futuri. Dal seminario uscivano
uomini importanti e il giovane professore contribuí certamente
alla formazione della classe ecclesiatica del primo
Ottocento.
Per i suoi meriti di provetto letterato fu
accolto nell'Accademia Filarmonica l'8 marzo 1800 con ventisei
voti a favore e uno contrario. Egli fu aggregato in qualità di
accademico "privilegiato" (una distinzione rispetto al
"filarmonico" sorta dopo la revisione delle leggi e degli
statuti imposta da Venezia a tutte le Accademie negli anni
settanta del Settecento: la patente di privilegiato veniva
rilasciata sulla base di doti particolari possedute "in esimio
grado" rispetto agli "esercizi ed instituti" dell'Accademia,
che coltivava in quel tempo soprattutto le lettere, oltre la
musica).
Il Cortesi abbinava la sua professione
d'insegnante con quella di letterato e di poeta: dei
componimenti che scrisse, nonostante molti contemporanei ne
abbiano parlato (e basterebbe l'affermazione del Cesari a
fugare i dubbi) non esistono tracce nelle pubblicazioni;
sempre secondo quanto si legge era dotato di gusto e giudizio
finissimo, versato ugualmente nelle lettere, nelle arti e
nella musica; possedeva una "scelta biblioteca ricca di
classici" ch'egli lascerà, in parte, alla parrocchia di Soave.
Chiamato come prefetto dell'Oratorio di Santa Elisabetta, si
dedicò con passione alla cura d'anime attirando molte nobili
persone attratte dalla sua facondia. Ma durò poco la presenza
in città perché, venuto a mancare don Bartolomeo Perazzini, il
vescovo lo inviò a reggere la parrocchia di Soave.
Del suo confratello deceduto tessé
un'orazione, non pubblicata, ma il cui ricordo era ancora vivo
vent'anni piú tardi quando qualcuno lesse nella basilica di
San Lorenzo in Soave il panegirico funebre scritto dal Cesari
per la sua morte.
Qui trovò subito da operare con solerzia e
ottemperò nel piú breve volgere del tempo a saldare quel
debito che il suo predecessore aveva contratto a beneficio
degli indigenti del paese. Dimostrò il profondo senso della
carità avviandosi sulla medesima strada percorsa da Perazzini
cosí intimamente legato ai bisogni anche materiali dei
parrocchiani. Ma lasciò pure opere atte ad abbellire la chiesa
dotandola di quadri, suppellettili preziose ed ornamenti;
costruí la casa canonica, incrementò le corali, fece portare i
resti mortali di S. Quirino in una cripta sotto l'altare a lui
dedicato. "Godette l'amicizia dei primi ingegni paesani e
forestieri". Legò metà della sua sostanza ai poveri e alla
chiesa di Soave dove rimase sino alla fine dei suoi
giorni.
Morí il 9 novembre 1822 e don Fiorente
Castagnedi dettò un'epigrafe a segno imperituro della presenza
del Cortesi.
Lasciò tre scritti non molto diseguali nei
contenuti e nella forma ma che si raccomandano per lo stile,
per la straordinaria capacità dell'uso della parola, per la
conoscenza profonda del latino, per la bravura coinvolgente
della prosa.
In occasione della scomparsa del Morosini
Gaetano Cortesi lesse in Cattedrale l'orazione
funebre84; in ventidue pagine, fitte fitte,
l'oratore tesse l'elogio del presule, perito nella filosofia,
esperto teologo, autorevole nella dottrina. Egli magnifica la
sua liberalità per avere eretto il Seminario, un manufatto
giustamente importante sia dal punto di vista architettonico
sia per la qualità degli studi che all'interno si tenevano;
loda la sua cultura e plaude al dono fatto alla Biblioteca
Capitolare dei suoi preziosi volumi. Ciò che non va trascurato
in questa orazione, di per sé abbastanza agiografica e di
stile ampolloso com'era costume, è la ricchezza dello stile:
un latino ricchissimo, perfetto, di pura ascendenza
classica.
Nel 1790, un anno dopo, sempre nella
cattedrale Gaetano Cortesi teneva il discorso ufficiale
d'investitura del nuovo presule. Anche in quest'orazione,
stavolta gratulatoria, in un latino forbitissimo ed elegante,
egli rifaceva la storia biografico-spirituale del nuovo
vescovo, lodando i brillanti studi a Bologna e a Parma,
utilizzando comparazioni bibliche e riprendendo dai Padri
della Chiesa similitudini che ad una lettura moderna appaiono
perlomeno azzardate ma che ben si adeguavano alla mentalità
dell'epoca. A rileggere oggi le vicende vissute dall'Avogadro,
i suoi rapporti con i francesi, la cieca fiducia verso gli
austriaci e gli anatemi lanciati contro Napoleone e i suoi
adepti, la "gratulatio" cortesiana ci appare un vuoto
monumento, buono solo per una storia, molto di parte, ascritto
ad un'epoca sicuramemte cruciale nelle vicende dell'Italia e
della Chiesa stessa.
La terza operetta del Cortesi, anch'essa
di ventitré pagine, piú che un'orazione è un
plaidoyer, non scevro di stanco livore verso i
nemici, per i soldati austriaci morti86. La triste situazione della Verona
fin de siècle settecentesca, presa tra i fuochi francesi
e austriaci, aveva diviso gli animi dei cittadini ma non
quelli degli ecclesiastici schieratisi apertamente con gli
ultimi. Ritornati momentaneamente padroni della città, gli
austriaci periti negli scontri ebbero solenni onoranze per
volontà del vescovo Avogadro che aveva patito la prigionia
sotto i francesi; l'orazione del Cortesi, stilisticamente
ineccepibile, ricca di metafore, con una padronanza assoluta
del periodo e accattivante dal punto di vista della forbitezza
linguistica, è dichiaratamente antifrancese con accenti
inconciliabili in un uomo di chiesa; sicché i Germani - come
l'autore li definisce - appaiono i buoni, i salvatori della
fede richiamando in questo un passato antico ma pur sempre
opinabile mentre reietti sono gli avversari; abbondano
traslati e comparazioni per cui a Davide, a Giuda e i
Maccabei, a Giuditta, a Gedeone si contrappongono Golia, i
Filistei, Oloferne, i Medianiti. Confortato dalla presenza del
Barone de Riesen e del suo Stato Maggiore, il discorso del
Cortesi ottenne lusinghieri
apprezzamenti.
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