Giovanni Battista
Peretti
Uno dei primi
importanti uomini soavesi che s'incontrano nella cultura
veronese è Giovanni Battista Peretti, molto piú noto con il
semplice nome di Battista.
Nato a Soave il 20
maggio 1520 (e non 1522, come da alcuni sostenuto) da Battista
e da Elisabetta Dionisi godette di una vita lunghissima poiché
si spense alla veneranda età di novantuno anni il 22 aprile
1611.
Abbracciò la vita
sacerdotale e fu un erudito di grande levatura quasi
prediligendo gli studi alla cura delle anime. Colto e dotto,
versato nelle lingue classiche ma ugualmente nelle scienze
religiose, non trascurò alcun settore che potesse raccordare
la sua curiosità intellettuale con la cultura. Amico di uomini
raffinati e colti, bibliofilo competente ed appassionato, fu
anche un ricercatore di prim'ordine poiché alcune opere da lui
pubblicate servirono poi agli studi sulla storia della chiesa
scaligera.
Cappellano e
rettore della chiesa delle sante Teuteria e Tosca nel 1553,
giuspatronato dei conti Bevilacqua cui il Peretti rimase
legato anche da vincoli di devota amicizia (consigliere e
factotum del conte Mario),
si sentí sostanzialmente svincolato dalle incombenze della
parrocchia dal momento che la rettoria era quasi una sinecura
pure essendo accanto alla chiesa dei Santi Apostoli come
risulta dalla visita pastorale di Luigi Lippomano. Avendo
"l'obbligo della messa festiva e di altre tre durante la
settimana", dedicò anche parte del suo tempo ad abbellire la
chiesetta delle sante di cui era
rettore.
Nell'ottobre del
1570 fu nominato arciprete di Bovolone ma dopo soli
diciassette mesi rinunciò alla parrocchia adducendo motivi di
salute. Già predicatore presso i monasteri femminili della
città, il Peretti, grazie alla fama acquisita come studioso,
diventò l'inviato del vescovo Agostino Valier con lo scopo di
sistemare tutte quelle vicende di carattere anche
extrareligioso ma che erano pertinenti alla diocesi o che con
la stessa avevano a che fare.
Tra il 1588 e il
1589 venne nominato arciprete di S. Giovanni in Valle, luogo
assai consono ai suoi interessi culturali per essere, quella
chiesa, una delle piú antiche del Veronese; qui, ove rimase
sino alla morte, Battista Peretti riordinò l'archivio, rimise
mano e portò a termine alcune sue opere, arricchí la sua
biblioteca dotandola di opere importanti e rare: la collocò in
un andito del campanile.
La storia non
tramanda molto altro sulla sua presenza in S. Giovanni in
Valle; eppure, per un uomo della cultura e della passione
quale fu il Peretti proveniente tra l'altro dalla chiesetta
contigua a quella dei Santi Apostoli dove la presenza del
sacello paleo-cristiano poteva in qualche modo riannodare la
storia delle chiese dell'antica Verona, tutto ciò appare
strano: non v'è nulla, al di là della sua epigrafe e del suo
ritratto, che leghi quel celeberrimo manufatto alla mano
intelligente del prete soavese.
Eletto pure
arciprete della Congregazione del clero intrinseco nel 1593,
sul quale e per il quale scrisse un'opera, nel medesimo anno
venne a morte il ricco conte Mario Bevilacqua: per lui il
canonico aveva costruito una fornitissima biblioteca, forse
una delle piú importanti dell'epoca; ma, come accadde sovente
per altre famose raccolte librarie private, nulla si sa della
sorte successiva della stessa: andata inesorabilmente perduta
nel tempo o, piuttosto, smembrata ed acquistata da nobili
famiglie e poi rivenduta sui mercati italiani e stranieri come
avvenne per quella di Gianfilippi? Mario Bevilacqua nobile
collezionista, passato alla storia non solo veronese per la
splendida raccolta della sua pinacoteca piuttosto che per la
sua scelta libreria lasciò al sacerdote anche degli strumenti
musicali con dei libretti e degli spartiti pareggiando in
questo modo un debito che forse egli aveva contratto con il
Peretti. Anche la ricca biblioteca dell'arciprete di S.
Giovanni in Valle, lodata dai contemporanei, subí la medesima
sorte di quella del Bevilacqua: "... lasciò i suoi libri in
eredità a quella Chiesa. Essi erano di molto prezzo, e in
numero. Come poi essi siano smarriti, e quando, non ben si sa.
Fu certamente gran perdita, e da compiangersi. Ho osservato
poi in quell'Archivio [di S. Giovanni in Valle] varj
manoscritti di questo dotto uomo pieni di memorie, e di
erudizioni sacre, ma cosí mal messe, affastellate, e in gran
parte corrose, che non v'ha mezzo di poterne trar copia": un
buon elenco di quei libri, anche se certamente parziale e di
molto al di sotto della realtà, riporta uno storico e almeno
questo rende onore al suo raccoglitore. È poco credibile che
il Peretti si sia trattenuto gli strumenti lasciatigli dal
conte Bevilacqua (che all'epoca dell'estensore della nota
apparivano presenti) e abbia invece alienato sia i libri
musicali sia tutta la biblioteca essendo, il Nostro, un
erudito, un musicologo ed un
bibliofilo.
Prima di morire -
caso certamente raro e curioso - l'arciprete Peretti
predispose la tomba e dettò la propria epigrafe con l'elenco
delle opere che sino ad allora egli aveva pubblicato: oggi
l'epigrafe è leggibile all'interno della chiesa che lo vide
suo parroco. Il desiderio di non scomparire del tutto e la
voglia di essere ricordato anche oltre il suo passaggio
terreno sono ampiamente testimoniati anche da due grandi
ritratti che ci restituiscono un sacerdote non del tutto
alieno dalle sollecitazioni dell'immortalità: uno, "in
attitudine maestosa", si trova in una sala della canonica
della chiesa di S. Giovanni in Valle, l'altro assieme a don
Raffaele Bagatta - amico, studioso e storico che con lui
condivise tanta parte dell'attività - è in un ufficio della
parrocchia dei Santi Apostoli in
Verona.
Battista Peretti
fu uno studioso di notevole levatura e sui suoi apporti
scientifici non sono mancati giusti riferimenti ed
apprezzamenti.
La Biblioteca
Capitolare di Verona, tra i
manoscritti, conserva dello storico un buon numero di lettere,
una miscellanea e un Erotemata
Guarini. Ancora tutto
inedito, il carteggio potrebbe rivelare interessanti rapporti
e disvelare ignote circostanze; non si dimentichi che Battista
Peretti anche se apparentemente defilato visse in un contesto
culturale, e non solo scaligero, di grandi afflati dove la
ricerca filologica soprattutto sui testi religiosi era tenuta
in alta considerazione; da non trascurare inoltre che la
tipografia veronese, forte di stampatori rinomati, godeva di
particolare prestigio anche al di fuori dei confini veneti. Si
ignorano i rapporti ch'egli avrebbe potuto intrattenere con
altri studiosi: sondare quelle lettere potrebbe, forse, aprire
orizzonti sconosciuti all'interno di quell'umanesimo religioso
che a Verona godette di grande fioritura; la sua amicizia con
i presuli della diocesi, sorretta da una cultura non seconda a
nessuno, potrebbe disvelare felici
novità.
Pino Simoni ha
brillantemente tracciato la bibliografia di tutte le opere a
stampa di Battista Peretti e a questo meritorio lavoro,
quindi, si rimanda. Ci limiteremo, pertanto, ad illustrare
solamente alcune delle opere, certamente le piú importanti ed
anche le piú fortunate.
Con Raffaele
Bagatta il Peretti pubblicò quello che viene considerato il
primo tentativo di scrivere una storia della Chiesa veronese
attraverso la biografia dei vescovi che ressero, per primi, le
sorti della nascente comunità religiosa in riva all'Adige. I
Monumenta,
come viene
definita quest'opera, rimase alla base di tutta quella
tipologia di studi sino al Settecento, sino a quando cioè, con
rinnovate basi filologiche e con strumenti assai piú
affidabili, si cominciò a rileggere la storia della chiesa
scaligera attraverso la documentazione, le fonti, i trattati.
Un altro degli argomenti cari al Nostro fu la figura di San
Zeno cui egli dedicò svariate attenzioni la piú importante
delle quali, ma non certo l'unica per il valore intrinseco
della ricerca, fu pubblicata nel 1597. Dedicato al vescovo
Agostino Valier (per nome del quale, sostiene il Federici
citato in nota, il Peretti scrisse delle opere) e al popolo
veronese, il volume tende a dimostrare la validità dell'azione
morale e teologica del patrono della diocesi il quale, dopo un
periodo di buona considerazione durante il Medioevo, era
caduto del tutto in oblio. Quest'edizione ebbe molta fortuna
poiché fu riproposta piú volte, in entrambe le parti con le
quali era originariamente uscita; una bella edizione uscí nel
1710 per la
Tipografia del Seminario. Di
un certo impegno, frutto di studio e di notevole capacità
paleografico-diplomatica, fu anche - sempre con Raffaele
Bagatta - la pubblicazione volta a restituire la
lectio
corretta ai
Sermoni
zenoniani. I
Tractatus
del santo vescovo moro, anche dal Peretti
ritenuto erroneamente martire per una leggenda che si esaurí
soltanto alcuni secoli dopo, interessarono sempre gli studiosi
per le molte scorrettezze cui fu soggetto il testo
frammischiato, tra l'altro, ad opere di altri autori oltreché
per la relativa difficoltà di lettura che metteva a giusta
prova soprattutto i religiosi. Non fu esente da molti errori
anche il lavoro dei due sacerdoti veronesi appena citati,
armati di non molti strumenti filologici data l'epoca, ma
certamente la loro fatica contribuí - e non superficialmente -
a mettere sulla buona strada altri studiosi e primo fra tutti
quel Perazzini che offrí al mondo dei lettori un testo molto
emendato anche se non perfetto. Tuttavia quanto fecero Bagatta
e Peretti fu giustamente riconosciuto dal Löfstedt che dedicò
loro tutte le argomentazioni che
meritavano.
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