ADOLFO MATTIELLI- PITTORE SOAVESETitolo
della tesi presentata all'Accademia di Belle Arti, G.B. Cignaroli, nell'ottobre del 1997,
relatore di tesi:Prof. Renzo Margonari.
Nel periodo attuale storico artistico dove non si considerano più i grandi del passato, poiché siamo
tesi, proiettati, a vivere nel nostro attuale; dove tutto ha raggiunto il culmine della rappresentazione
e si è sfiorato se non superato il limite; dove ci si scopre privi di valori e ci si addormenta sul 'già
fatto', ed il nuovo, il presente non è più nuovo, ma precocemente già vecchio, sembra anacronistico
che si voglia ritornare ad occuparsi dell'artista Adolfo Mattielli.
Un artista soavese che ha vissuto e che vive con le avanguardie del primo Novecento e che per le
stesse non ha particolari inclinazioni.
Jole Simeoni Zanollo, nella premessa tratta dalla monografia al Mattielli dedicata, nel 1971, scrisse:
Egli non si è piegato a compromessi con le ubriacature artistiche che man a mano si sono
avvicendate nel suo tempo
Il Mattielli rimane ancorato all'arte che hanno tramandato i quattrocentisti, i cinquecentisti, e alla
pittura veneta, dove il colore è l'eccellente protagonista (dove il colore e la luce si fondono
suggellandosi in un matrimonio di profonde armonie).
Tuttavia, il Mattielli è un artista da ritenersi 'innovativo', basti pensare alla pittura semovente da lui
'creata'.
I Pulcini:
Colore sbiadito, non certo il colore del primo florido periodo - l'opera è degli anni'60 - il colore è
sacrificato a favore del segno che decide con linee schiette, chiare, e funge da ritocco e stacca le
figure principali, la donna e la bambina, sullo sfondo. La raffigurazione della madre/donna
conferma l'idealizzazione non solo pittorica, ma onirica e spirituale. Grazia e femminilità sono
inverosimili, impalpabili, incorruttibili, integre. La donna del Mattielli non è volgarizzata o
accentuata, ma sempre accarezzata dal pennello. Una donna venerata ed adorata, ma sconosciuta.
Non è un quadro del periodo più 'rappresentativo' del Mattielli, perché è un opera del 1960, è
tuttavia un quadro che riassume qualità di stile ed i punti di forza che si riscontrano in tutta la sua
pittura: grazia e dolcezza, tenera espressività, conoscenza e sensibilità del colore, perizia tecnica
ed un ottimo segno..
Il Mattielli descrive e predilige i temi classici della campagna, i rituali contadini insieme ad
elementi umani di prim'ordine: la modestia, la fanciullezza, l'ingenuità, l'abnegazione e la
dedizione al lavoro, la maternità. ed i suoi protagonisti, i protagonisti non sono quasi mai assoluti,
ma sono presentati in uno sfondo di natura rigogliosa, viva e vitale, con la quale non dimenticano
mai di convivere con placida tranquillità.
Una poesia.
I suoi quadri sono una poesia.
Il Mattielli sceglieva i suoi soggetti sul posto, coglieva la veridicità quotidiana con un 'occhio
impressionista' di 'poeta pittore'.
La sua arte rimane chiara, 'pulita', precisa e leggibile, svincolata dalle incertezze. L'artista non ha
mia avuto dubbi a tale proposito: ha sostenuto il suo credo, senza preoccuparsi di rispondere riporto
una sua frase celebre: "La mia arte più che appartenere alla storia della pittura, ritengo debba
appartenere a quella del sentimento."
Ed infatti, il credo del Mattielli, il suo mondo, è un mondo spirituale dove vengono richiamati solo
il bello, il limpido ed il buono in una corretta proporzione.
L'abilità dell'artista soavese come ritrattista sorprende.
Grazie ad un'attenta ed intelligente osservazione verso il soggetto, il Mattielli ottiene sulla tela
eccezionali somiglianze con l'originale.
L'attitudine per il ritratto e la copia dal vero insieme alla minuziosa conoscenza dell'anatomia gli
hanno permesso di dar vita a volti e a corpi nei suoi numerosissimi bozzetti.
La forte affezione lega il Mattielli al paese d'origine, Soave, anche allora ridente e giuliva cittadina
dominata dal possente maniero, il castello, che abbraccia e racchiude il paese, custodisce e
tramanda antiche leggende e ricorrenze. Un paese 'agricolo' dove le cantine sono il bene più
prezioso e dove l'artista ne ama e decanta la terra e la gente attraverso la schiettezza dei dipinti.
Egli è immerso nella quotidianità di una realtà semplice e contadina: una vita pratica e razionale
priva di ogni artifizio, una vita dedita al sacrificio.
Per questo continuo riflettersi il Mattielli rimane indifferente al successo rinunziando alla
mondanità. Si migliora sempre - ai tempi del Mattielli, l'imposizione principale da modo di
raggiungere la perfezione pittorica - ma egli non si rinnova. Non rinnova le tematiche, non rinnova
il modo di dipingere, rimane coerente al suo stile espressivo rafforzando l'identità dei soggetti.
Gode della sua 'prigionia'. L'arte del passato rispecchia il suo stato d'animo, la sua personalità, il
suo essere artista, il paese natio dal quale trae continua ispirazione, vera miccia che accende
creatività ed ingegno.
Ritorno dai Campi (1917)
Sfondo inesistente. La figura giunge al limite della stilizzazione e stacca su uno sfondo integro.
Nella schiettezza dei tratti, nella nudità del tratto (anche se dolce, mai ruvido), si raccoglie la
stanchezza, la spossatezza di entrambe le figure. La natura poco rigogliosa sottolinea la
spossatezza del contadino, la linea curva che segue la stanchezza e la risolutezza dell'animale, ed è
ciò che il Mattielli cattura e vuol trasmettere.
La vita.
Terminata l'Accademia si sposta a Venezia, per completare la sua formazione pittorica.
Ritorna a Soave. Ottiene un locale, uno studio, un atelier tutto per sé. Lavora molto. All'inizio si
appoggia stilisticamente alla moda corrente, il liberty.
L'esordio importante avviene quando Adolfo ha 21 anni e partecipa alla Rassegna Internazionale
del Ritratto.
Nel 1907 è alla sua prima Biennale, l'Esposizione Internazionale d'Arte di Venezia.
Vi parteciperà ancora: nel 1909, anche con un trittico interamente dedicato all'ottobre soavese;
nel 1912: con Trastulli Infantili ela Stella di Natale; nel 1914; con Zingara;
nel 1922;
nel 1924;
Contemporaneamente al termine dell'opera Baccanale, il Mattielli sperimenta un apparecchio di
pittura. detta pittura semovente. Si tratta di un congegno che permetteva di rinnovare la superficie
di un quadro ottenendo così il movimento delle figure. Trovata geniale, alcuni dissero che fosse più
adatta alla réclame che per l'arte. MediumDinamico, un quadro con cui utilizzò questo tipo di
pittura, interessò i giornalisti del tempo.
Ma com'è questo stile del Mattielli, come si può descrivere:
la sua pittura è solida, spiritualmente perpetua, che rivolge intelletto ed abilità ad un'espressione
non solo pensata, ma soprattutto, sentita e ben ragionata. Il Mattielli è veneto, nel colore, e si sente
vicino allo spirito degli antichi veneziani che erano nobili nella loro profondità coloristica,
convincenti e senza trucchi.
Prendendo spunto dai suoi personaggi ritratti raggiunge 'livelli di sorprendente raffinatezza
esecutiva', la rigidità compositiva del grande Mantenga, e le dolcezze raffaellesche. "Mi
accuseranno distare troppo vicino a qualche artista del passato? Pazienza, un punto di partenza ci
vuole." Per il Mattielli il punti di partenza sono Leonardo, Mantenga, Raffaello, Michelangelo,
Giorgione e Tiziano (autore assoluto disposto a tradurre in pittura vitalità e carne). Lo scopo della
sua pittura è di interpretare con il disegno ciò che la natura ci mette davanti attraverso
l'interpretazione, non la riproduzione verosimigliante.
Tuttavia, nei quadri degli anni '20 e '30 il colore è contenuto tra la freddezza di linee schiette che
rimandano ad un genere di neoimpressionismo, il Divisionismo.
Bambina Dormiente, opera del 1921. E'uno dei quadri migliori. E' un quadro divisionista.
Ricollega al maestro di pittura del Mattielli, Mosè Bianchi, che dispone memorabili vedute della
città divisionista, e Segantini.
Un altro quadro rappresentativo, un capitolo importante dell'opera del Mattielli:
Piccolo Concerto. Picco, pinnacolo della sua maturazione artistica.
Il quadro è del 1922.
I personaggi: due fanciulle sul mentre di cantare, ed un fanciullo al violoncello.
Benedizione degli Animali, un'opera veramente bella ed importante, richiama alla memoria
nomi prestigiosi. Oltretutto, dimostra che il Mattielli avrebbe potuto diventare famoso continuando
a dipingere con la tecnica del Divisionismo. Il tema di questo quadro è stato riprodotto diverse altre
volte.
Aneddoto: aveva preparato la tela incollandovi direttamente dei pezzi di carta perché la tela non
assorbisse troppo velocemente il colore. All'inizio il risultato sembrò gradevole, ma la carta, dopo
breve tempo, cominciò ad imbarcarsi e adagio a staccarsi.
Ciò che colpisce però dell'opera non è solo la solennità grandiosa ed avvolgente di un cielo
'mattelliano', meravigliosamente dorato che accarezza e sublima d'incanto la scena, o la profondità
che ci è data da un'impeccabile prospettiva, ma il sacerdote nell'atto placido e tranquillo.
Negli anni '50, il Mattielli dopo il lungo peregrinare per accontentare le committenze clericali,
ritorna a Soave. Si restituisce così ai soggetti più modesti di vita contadina.
Riecco allora i favoriti di Adolfo: i bimbi, le fanciulle ed i fanciulli, vecchi rugosi come alberi, la
Vendemmia a Soave, Pigiatura. testimoniano la sua coerenza di stile e di colore del pittore.
L'attività di affrescante e di vetraio lo assorbono completamente, ma ritorna a Soave, per riprendere
la pittura su cavalletto con cui accontenta le richieste di privati. Ed egli propone ciò che più gli è
caro e meglio gli riesce. Obbedisce alla propria natura, al suo temperamento, senza temere di
apparire troppo 'provinciale'.
"Al giorno d'oggi è audacia ritornare alle caratteristiche tradizionali in antitesi ad ogni afflusso
straniero di facile stravaganza.
Perché aggiogare tutti al carro di una moda quando la maggior parte degli artisti, che per natura
sono tanto diversi non accetterebbero spontaneamente un indirizzo che è contrario al loro modo di
sentire e di concepire l'arte?" e poi ancora: "Libertà vera dunque per gli artisti, libertà di scegliere
e maturare facoltà che è dono sacro di Dio, ed è profanatore chi pone dei limiti a questa libertà e
un indirizzo proclama per buono e un'altra lo calpesta."
. Le vendemmie, la pigiatura, il lavoro dei campi, un contadino al ritorno del lavoro, le
scampagnate, i bambini in braccio delle loro mamme, ragazzine e ragazzini, un placido tramonto.
Soave. La gente. Le borgate. Ed il castello. Non ha caso il Mattielli descrive il maniero soavese in
un libretto alla portata del turista.
Non a caso racconta il breve momento di una storia d'amore che sta per sbocciare all'interno del
terzo cortile del castello e che prende nome di Idillio al Castello.
Dividerei la vita artistica del Mattielli pittore in due parti: nella prima parte opera il colore; nella
seconda parte sembra quasi che non ci sia il tempo, la tavolozza si prepara con i tubetti. ed il
segno primeggia.
Testa di Evangelista. Un intrico di segni che richiama. Leonardo.
La penna vincola, non permette ripensamenti, non permette grossi errori di tratto, ciò significa che
per utilizzarla nuda, senza un disegno preparatore, bisogna saperla utilizzare, bisogna avere
padronanza ed ottimo disegno.
Quando un artista ritrae con la penna è un disegnatore, non un pittore.
Adolfo Mattielli è sempre stato un uomo di poche parole, un solitario, un po' romantico, innamorato
della natura, ma non per ricalcarne le forme, bensì per scegliere da essa l'essenzialità che concorre a
dargli una maggiore intensità d'espressione corrispondente, come ovvio che sia, al suo modo di
sentire.